Lo scopo del test è quello di evidenziare la presenza di solfati (sali in cui ogni atomo di zolfo è legato a 4 atomi di ossigeno) nella roccia. Come estrarre questi sali dalla roccia? Come scegliere le aree in cui fare l'estrazione? Come fissare il numero di estrazioni da fare su una certa parete? Non sono domande banali. Daniele Arena racconta la metodologia seguita nei primi test fatti a San Vito lo Capo.
Carmela Malomo
A caccia di solfati nella roccia
Gli studi sulla corrosione fatto dal team dell'UIAA hanno evidenziato la presenza di tracce di Solfati (sali in cui lo zolfo è legato a 4 atomi di ossigeno) su tutti gli ancoraggi di acciaio inossidabile di tipo A2 affetti dal fenomeno di pitting. Il test raccomandato dalla commissione, perciò, va "a caccia di solfati" all'interno della parete. I solfati non abbondano certo nei calcari nostrani. La loro origine, poi, può essere varia: possono provenire da piccoli "filoni" dentro la parete; potrebbero essere depositati sulla superficie a causa di fenomeni esterni (portati dagli agenti atmosferici, o da una comune strisciata di magnesite). Potrebbero essere depositati sulla superficie come prodotto della decomposizione di microrganismi. Certo lo zolfo, in quantità più o meno significative, è presente più o meno dappertutto: è esperienza comune del disgaggiatore sentire "puzza di zolfo" (dovuta agli ioni solfuro, e non agli ioni solfato) quando la roccia si sgretola e i sassi rotolano giù cozzando tra loro e generando scintille. La caccia avviene sostanzialmente tramite l'esecuzione di un "tampone" su una superficie di roccia. Si prende un batuffolo di ovatta, lo si imbeve di acqua distillata e lo si struscia e lo si picchietta sulla superficie "pulendola" da tutto ciò che è affiorato dall'interno per capillarità e anche che si è depositato dall'esterno, prevalentemente a causa degli agenti atmosferici. Ovviamente scopo del test è di minimizzare la presenza e l'eventuale effetto di tutto ciò che si è depositato sulla superficie a causa di agenti esterni (vento, contatto con le mani degli scalatori o altro) e massimizzare invece la presenza dei sali che sono affiorati dall'interno della roccia per capillarità.
Carmela Malomo
Il protocollo di campionamento
- L'area di campionamento deve essere (entro ristretti margini di tolleranza) un quadrato con il lato di 20 cm.
- I sali vengono prelevati dalla roccia tamponandola con 50 cc di acqua distillata
- Il prelievo deve avvenire in aree che non appaiano contaminate da depositi esterni (soprattutto magnesite)
- L'operatore che lo esegue deve indossare guanti puliti (per non contaminare il campione con i depositi e i microrganismi presenti sulla sua pelle)
- I contenitori destinati a contenere il prelievo, e i batuffoli di ovatta che si usano per effettuare il tampone devono essere puliti.

Carmela Malomo
La procedura di campionamento
- L'operatore individua una superficie di roccia che sia il più possibile indenne da depositi esterni (magnesite, terreno, licheni)
- Segna con una minuscola incisione i vertici di un quadrato con il lato di 20 cm
- Indossa un paio di guanti puliti e sterili
- Versa 50cc di acqua distillata in un contenitore pulito e sterile
- Prende un batuffolo di ovatta pulito e sterile. Lo imbeve con una piccola parte dell'acqua distillata e lo usa per picchiettare e strusciare il quadrato di roccia (cercando di non far colare il liquido a terra, ma di raccoglierlo con il batuffolo stesso)
- Il batuffolo bianco si va via via colorando. Quando l'operatore vede che il batuffolo non si colora ulteriormente (e che quindi ha raccolto dalla roccia il massimo possibile), lo strizza in un secondo contenitore sterile e pulito.
- Poi l'operatore imbeve lo stesso batuffolo con un altro po' di acqua distillata e ripete il procedimento, fino ad esaurimento dei 50 cc.
- A questo punto l'operatore richiude il barattolo e lo mette da parte per le analisi. E passa a scegliere un eventuale altro quadrato di roccia sul quale effettuare un altro tampone
- Una stessa parete di roccia può presentare parti più porose e parti meno porose. Perciò capiterà che dei 50 cc di liquido originario da una parte si raccoglierà il 90%, e da una parte anche il 50%.
- Se le analisi non saranno fatte entro 12/24 ore, all'acqua distillata occorre aggiungere un disinfettante, per evitare che il campione si contamini con i risultati della decomposizione dei microrganismi che sono sempre presenti sulle superfici di roccia
- L'operatore deve segnare su ogni campione il punto in cui è stato preso (i nomi delle vie vicine, le coordinate GPS, la quota rispetto al terreno), e fotografare il punto in cui è stato fatto il prelievo
- Le annotazioni sul posto, le foto della zona dove è stato fatto il prelievo, e i risultati del test devono essere raccolti in un database.
Accorgimenti: Quanti e quali campioni scegliere
I filoni di solfato all'interno di una parete sono localizzati in determinati punti. Questo comporta che in alcuni punti il test potrebbe dare risultati positivi e in altri risultati negativi.
La scelta delle aree in cui fare il test, e del loro numero, è di importanza cruciale per la scelta degli ancoraggi. Basta che uno solo tra tutti i campioni presi da una formazione rocciosa dia luogo a un esito positivo (cioè contenga una percentuale apprezzabile di solfati), per dire che in quella roccia ci sono dei filoni di solfati, e che quindi gli ancoraggi in acciaio non sono adatti dovunque. E se non sono adatti dovunque, il criterio UIAA prescrive che, per sicurezza, non si usino. Ma, d'altra parte, se accade che nessuno dei campioni presi dia risultati positivo, questo non implica necessariamente che nella formazione rocciosa esaminata non siano presenti filoni di solfati. Infatti questi potrebbero essere presenti in parti non esaminate.
Perciò tocca all'operatore, in base alla sua esperienza, scegliere con cura le aree in cui fare il test, e il loro numero. Deve prendere, ovviamente, un campione per ogni zona in cui la roccia cambia colore (perchè il colore della roccia è in parte dovuto ai sali che affiorano sulla superficie dall'interno).
In presenza di grotte, o di parti molto strapiombanti, a parità di colore, deve prendere sia un campione nei punti più riparati dalla pioggia (dove in pratica non c'è dilavamento), sia un campione nei punti più esposti agli agenti atmosferici.
Deve scartare le zone coperte da depositi esterni, sia che si tratti di magnesite, sia che si tratti di terreno, sia che si tratti di licheni o altro.
Deve distribuire i campioni in modo da esaminare tutte le zone con diversi colori e morfologie.
E ricordare che se anche tutti i campioni esaminati non saranno evidenziate percentuali apprezzabili di solfati, deve essere comunque preparato a monitorare lo stato degli ancoraggi, e a fare qualche test ulteriore in qualche zona dove la rottura di una protezione potrebbe dar luogo a un grave incidente.
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