Una doverosa premessa. Lo scritto è di 20 anni fa circa. Si era perso fra le mie carte e mai portato in digitale. Così è rimasto inedito, non pubblicato sul mio libro e di fatto scomparso anche dalla mia memoria fino a un paio di mesi fa.
20 anni sono tanti ai nostri tempi con il progresso che corre e tutti i cambiamenti. Sono tantissimi anche nella nostra attività alpinistica. Tante, tantissime cose sono cambiate. Ma quello che il lettore deve sforzarsi di capire non è tanto il cambiamento tecnico dell’arrampicata e dell’alpinismo. Quello lo si trova ovunque, in tutti i posti, nei cataloghi dei materiali, nell’attrezzatura, nelle vie Quello che bisogna capire è l’inquadramento storico del momento.
Quando abbiamo iniziato a tornare in Croazia, dopo il 1996, la Croazia usciva da 5 anni di guerra. I segni si vedevano, negli occhi della gente, nei supermercati vuoti, nelle case distrutte e piene di buchi fatti dalle pallottole e dalle granate; si vedeva nei campi minati e nelle zone dove non potevi andare e che per tanti anni dopo sono rimaste off limits. La guerra ha solo sfiorato la costa, ma la dorsale dove si combatteva era là sopra, a pochi passi. Per loro vedere qualcuno che veniva ad arrampicare era rivedere la vita… ora quel mondo per fortuna non esiste più. La Croazia è un paese standard europeo e probabilmente nessuno ormai ha l’AK47 nel baule dell’auto, col colpo in canna pronto… ora c’è l’EUROPA UNITA. Allora si usciva da odio e morte. Anche arrampicare era tornare alla vita, e molti reduci ritrovavano o cercavano di ritrovare sulle paretine di Omis pace con loro stessi.
A Carlo, con cui ho condiviso quegli appigli colorati e un pezzo di vita e che ci sta aspettando altrove…
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